Coerentemente all’ispirazione originaria che dal 2008 a oggi ha portato la città di Matera alla designazione a Capitale Europea della Cultura, la molla che spinge ancora oggi l’Associazione Matera2019 è l’idea di cementare l’impegno e la partecipazione dei cittadini intorno a quella che abbiamo definito una “sfida generazionale”: per la sua portata storica e per le implicazioni sul piano sociale, economico, culturale. Di questa sfida l’essere “capitale” rappresenta un vettore essenziale e formidabile, ma non sufficiente se non vogliamo rischiare, dopo un faticoso percorso, di ritrovarci con le sole macerie di un grande evento e senza alcun beneficio durevole per i cittadini.
L’idea centrale che nel 2008 spinse un gruppo di persone a incontrarsi e mettersi al lavoro per proporre alla città la candidatura a Capitale europea della cultura era ed è proprio quella di trovare un motivo, un obiettivo, una grande prospettiva comune: capace di far riscoprire una identità sopita o frammentata, canalizzare le energie e le competenze pure presenti, disegnare una via per lo sviluppo complessivo del territorio e ridare così speranza e prospettiva alle nuove generazioni. Nel percorso che ne poteva scaturire, le persone, il loro vissuto sarebbero stati il termine di partenza e di arrivo di qualunque riflessione, perché si trattava di avviare una rivoluzione, una rivoluzione culturale in grado di consentire a tutti di riappropriarsi dei propri destini ed essere finalmente costruttori del proprio futuro.
Dopo quel percorso che ci ha portato tutti nel 2014 a ottenere la designazione, nel momento in cui per certi versi la nostra “missione” potrebbe essersi compiuta, quella “sfida generazionale” non è certamente ancora vinta. Guai a considerare la designazione un punto di arrivo; guai ad assolutizzare il valore del “titolo”; guai a considerare un “bottino” acquisito la notorietà e il clamore mediatico o l’aumento dei flussi turistici: il percorso è ancora da completare, il processo solo avviato. E se c’è un elemento chiaro e lampante, come dimostrano ampiamente vari episodi di cronaca, è che di questo processo i cittadini non sono sazi e anzi vogliono a maggior ragione essere fino in fondo protagonisti e non spettatori; vogliono entrare nel merito delle decisioni e vogliono essere la misura della efficacia e delle sensatezza delle decisioni, anzi, vogliono essere direttamente coinvolti nei processi decisionali: non una partecipazione di facciata, strumentale, da “consumatori”, ma reale, diffusa, democratica, sostanziale.
Ecco perché oggi, in un momento delicato e cruciale di questo percorso, vogliamo sollecitare e stimolare la città, e chi la amministra, a creare una “infrastruttura” adeguata per garantire e mantenere nel tempo – secondo norme e regole condivise e trasparenti – questo tipo di partecipazione e questo stile di protagonismo “civico”; si tratta cioè di fare in modo che quella che potrebbe essere già una “rivoluzione” e un frutto di questo percorso avviato, diventi metodo e indicatore di qualità, diventi un dato strutturale e oggettivo nella cosiddetta governance del territorio, la garanzia di un meccanismo di inclusione di tutti, di tutti i mondi, di tutte le sensibilità, di tutte le creatività. Se esistono delle responsabilità diverse e dei ruoli diversi, cosa diversa dall’autonomia è l’autoreferenzialità; cosa diversa dalla ricerca dell’eccellenza è l’elitarismo; cosa diversa dall’autorevolezza è l’autoritarismo o l’arroganza; e così via…
Ecco perché abbiamo provato in continuità con la nostra missione originaria a immaginare cosa potesse servire per evitare questi pericoli e invece in positivo cogliere sino in sfondo la ricchezza che può derivare dal contributo di tutti; dalla nostra analisi è risultato evidente come sia necessario metter mano a qualcosa di definito, regolato con attenzione e lungimiranza, secondo la cifra della trasparenza; in grado di sottrarre definitivamente qualunque processo decisionale a un criterio diffuso di discrezionalità e di arbitrarietà e nello stesso tempo in grado di fare una sintesi la più ampia possibile della grande varietà di sensibilità come di interessi legittimi che vivono la società civile e quella economica: una infrastruttura, appunto, una vero e proprio cantiere di innovazione sociale…