E’ considerata tra le più interessanti artiste contemporanee presenti sulla scena internazionale. Parliamo dell’artista turca Sukran Moral, da oltre 10 anni impegnata in mostre collettive e personali realizzate in Italia e all’estero, che spaziano dalle fotografie ai video-documentari alle performance artistiche che, senza pudori e falsi moralismi, e con uno stile crudo e dissacrante, denunciano la condizione di quelle persone che vivono ai margini della società come i transessuali, le prostitute, i malati di mente, gli emigranti, e lo fa entrando nei posti dimenticati, malfamati e di esclusivo “dominio” maschile.
Tra i lavori più importati di Moral, “Zina” e “Il manicomio femminile di Istanbul” due video realizzati nel 1997 e nel 2003 esposti a Matera fino al 31 gennaio nella Chiesa di Santa Maria de Armenis (piazzetta Pascoli), in una mostra dal titolo “Identità violate” curata da Bruna Fontana, e inserita nel Focus Matera-Istanbul 2010 ideato dall’Associazione Matera2019 e finanziato con i fondi Piot. L’artista sarà a Matera venerdì 21 alle 18 per incontrare il pubblico nella chiesa di Santa Maria de Armenis e raccontare la sua singolare vicenda artistica che l’ha costretta ad allontanarsi dalla Turchia.
Nel corso della serata saranno presentati due lavori. Il primo si intitola “Zina” che in arabo significa adultera. Nel video l’artista si fa lapidare secondo le modalità con cui viene giustiziata una donna accusata di adulterio in alcuni paesi musulmani. Ci viene risparmiato soltanto l’atto finale della tragedia. Il tutto avviene tra gli sguardi curiosi e increduli degli spettatori che, proprio come nella vita reale, osservano senza ribellarsi, partecipando al massacro. Il suo carnefice dunque è un mondo che per nascondere la propria debolezza cerca di annientare la sua libertà di scelta, di renderla schiava. E’ una cultura che appartiene all’artista che in un testo scrive: “Una donna turca raccontava di come nella repressione fosse cresciuta una società maschilista, e di come un grande crescente fondamentalismo musulmano imponesse alle donne tanti divieti: non uscire di casa, non indossare i pantaloni, mantenersi vergine per servire i propri figli ed il proprio marito; in poche parole annullare ogni proprio desiderio, mettersi al servizio di una società feudale. Se in Occidente la sfacciata ostentazione del nudismo può disturbare, è ancora più doloroso chiedere ad una bambina di coprirsi come avviene viceversa nella società turca. Quella bambina potrà concedersi solo ai suoi padroni, prima il padre poi il marito.”
Il secondo video ha come tema la follia e racconta il dramma di un luogo che nell’immaginario collettivo si tinge dei colori cupi dell’abbandono, della solitudine e spesso della violenza fino all’annientamento dell’identità umana. Nel video la Moral, prima da spettatrice poi da protagonista, racconta senza filtri il dramma di quel luogo. Scene di vita quotidiana scandite da azioni semplici, ripetitive, momenti di socializzazione sterili in cui ogni individuo rimane da solo, chiuso in se stesso forse perché, ormai, ha paura dell’altro. Tutto è asettico. Forte è la percezione di una volontà che ha cancellato le differenze: abiti uguali, uguali acconciature, piccole stanze spersonalizzate che accolgono letti tristi, un lungo corridoio come spartiacque tra le camere che si aprono a destra e a sinistra quasi a voler supplire alla mancanza di un ordine mentale. Non importa in quale parte del mondo accade tutto ciò, l’artista denuncia la condizione di queste donne “diverse” che vivono una morte apparente in attesa di una morte reale. Dimenticate come oggetti rotti non più riparabili.
A tutto ciò l’artista si ribella spronando l’osservatore a non essere più soltanto spettatore ma parte attiva attraverso una riflessione profonda che riesca a scuotere le coscienze.